Salvatore #716
Qual è la cosa più bella che hai fatto nella tua vita?
Un attacco di panico, da quel momento in poi è cambiato tutto: è il giorno che benedico e che maledico. Era il giusto momento per cadere perché mi sono rialzato diverso. Nella vita ci sono dei bivi che ti sembrano completamente negativi e da quelli puoi ricrescere, dalle macerie puoi solo ricostruire. È stata la mia svolta.
Qual è la cosa più brutta che hai fatto nella tua vita?
Un attacco di panico, fortissimo e violento, che mi ha colpito in un momento in cui andava tutto bene. Era un periodo felice sia sentimentalmente che lavorativamente parlando, gratificazioni varie e a vari livelli però c’era qualcosa che non andava. Ho iniziato a rivalutare un po’ di cose, a cercarmi. Quando non riesci a capire perché ti senti così, proprio quando le cose non ti stanno andando male e spesso quando te lo chiedi non ti è mai mancato niente, inizi a indagare veramente e a fare un po’ di “scarto”, a cercare più dentro che all’esterno. È stato il momento più difficile perché ho dovuto rivalutare tutto quello che mi circondava, tutto quello che stavo vivendo non mi stava portando dove volevo. È stato l’episodio più duro che ho affrontato, perché non è un nemico reale e quando ti guardi all’esterno non lo riesci a definire: devi scavare un po’ dentro.
Cosa ami fare?
Seguire gli stimoli e gli istinti, il punto è che da quando sono nato sono sempre stati tantissimi e sempre diversi. È un pregio e un difetto. Mi piace scrivere e per questo ho incominciato a scrivere un romanzo, poi ho interrotto perché mi piaceva disegnare, poi incominciava ad appassionarmi la musica e ho cominciato a suonare la chitarra, poi m’ha preso la fotografia, poi il design, poi la grafica e l’animazione. Non mi sono mai precluso niente, non ho mai fatto della mia strada una linea retta. Ad un corso di grafica mi chiesero di disegnare la mia paura più grande, ho disegnato una linea retta: è la cosa più triste che si possa fare, vivere su una linea retta.
Cosa odi fare?
Strutturare la creatività, doverla ingabbiare in qualche modo: per me è un controsenso. Essendo stato sempre una persona creativa, quando ho iniziato ad avere i primi contatti col mondo del lavoro ho subito capito che il lato artistico, e la creatività, doveva essere ingabbiato per essere “gestito”. Ho quindi sempre spinto verso un lavoro che mi permettesse di essere libero, di viaggiare con la testa e non essere così bloccato dalle componenti esterne. Sono una persona che vive di stimoli e quando vedo la creatività di scrittura, di disegno, di immagini in generale, in un certo senso “bloccata” mi sento bloccato io. È come bloccare l’espressione di sé.